- Dott. Lorenzo Esposito
- 31 mar 2017
- Tempo di lettura: 3 min
Con la proroga al 21 aprile prossimo i contribuenti hanno quindi un maggiore termine per poter presentare l’istanza di rottamazione di cui abbiamo lungamente parlato in precedenza.
Ma cosa succede dopo? Nell’ipotesi migliore Equitalia, entro il 15 giugno (e non più il 31 maggio) prossimo vi comunicherà l’importo da pagare in unica soluzione entro il 31 luglio 2017, oppure gli importi delle singole rate con scadenze 31 luglio, 30 settembre, 30 novembre 2017, 30 aprile e 30 settembre 2018.
ACCOGLIMENTO. A questo punto le possibilità sono solo 2:
INTEGRALE DEL DEBITO: in tal caso la definizione si perfeziona ed avrete risparmiato dei bei soldini (pochi o tanti a seconda del tipo di tributo ecc…per approfondire clicca qui)
NON INTEGRALE: la definizione non si perfeziona e si decade da ogni beneficio. Gli importi eventualmente versati andranno a ridurre quanto dovuto per tributi, sanzioni e interessi senza alcuno sconto.
NON ACCOGLIMENTO. Le ipotesi sono due. O Equitalia vi scrive dicendovi per quale motivo l’istanza non viene accolta, RIFIUTO ESPRESSO. Oppure non vi viene comunicato nulla e l’istanza si intende non accolta, DINIGO TACITO. ATTENZIONE, SE NON VI ARRIVA NULLA ENTRO IL 15 GIUGNO COMINCIATE A PREOCCUPARVI, INVECE DI PENSARE AL MARE!!!
A seconda delle modalità di non accoglimento, sono previste, come al solito due forme di tutela.
RICORSO CONTRO IL RIFIUTO: avverso la comunicazione, entro 60 giorni dal ricevimento della stessa, presso la Commissione Tributaria Provinciale, se si tratta di tributi. Per i contributi INPS e l’INAIL è competente il Tribunale con termini differenti e più stretti.
RICORSO CONTRO IL DINIEGO TACITO. In tal caso il ricorso va proposto entro 60 giorni dalla data in cui scade il termine per la risposta che Equitalia non vi ha dato (15 giugno). Pertanto il ricorso va proposto entro il 14 settembre (stante la sospensione feriale dei termini dal 1° al 31 agosto), sempre nel caso si tratti di tributi.
CAUSE DI NON ACCOGLIMENTO. Le cause che potrebbero farvi negare l’accesso alla rottamazione, avverso cui è possibile proporre ricorso, sono principalmente tre.
La prima è il mancato pagamento delle rate in scadenza fra il 1° ottobre e il 31 dicembre 2016, che sono una condizione essenziale prevista dalla legge. Equitalia si è espressa dicendo che vanno pagate tutte le rate fino al 31 dicembre 2016, mentre alcuni commentatori hanno ipotizzato che non fosse necessario aver pagato tutte le rate ante ottobre 2016, sempre nei limiti delle 8 che fanno saltare la rateazione.
Il secondo punto controverso che potrà generare contenzioso è relativo ai carichi di ruolo che emessi dall’Agenzia nel 2016, sono stati trasmessi ad Equitalia dopo il 15 dicembre 2016. Secondo Equitalia non è possibile definire i ruoli trasmessi dal 16 al 31 dicembre, perché la legge li considera consegnati al debitore il 10 gennaio 2017. L’Agenzia delle Entrate è di manica più larga ed interpreta la legge in senso rigido, considerando definibili tutti i ruoli trasmessi entro il 31 dicembre 2016.
Per concludere resta la questione dei carichi che l’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto affidare a Equitalia entro il 2016, ma non l’ha fatto per lungaggini e negligenze. Ad esempio, i ruoli per la riscossione frazionata in pendenza di giudizio, che se fossero stati emessi avrebbero certamente potuto essere definiti, ma in caso ciò non sia avvenuto, rende tutto più difficile. I pareri di Equitalia e dell’Agenzia in tal caso sono concordi nel negare la possibilità di definizione, ma non si sa quale potrà essere l’orientamento dei giudici che si troveranno ad esaminare i ricorsi su questo punto. Possono sembrare cose da poco, ma se avete dei ruoli da decine di milioni di euro, la sanatoria assume proporzioni gigantesche e potrebbe ingolosire i più esperti tributaristi nel trovare la soluzione.
- Dott. Lorenzo Esposito
- 10 mar 2017
- Tempo di lettura: 3 min
Continua la corsa alla rottamazione dei ruoli, ed Equitalia si sfrega le mani pensando a quanto potrà incassare dall’operazione. In realtà io sono molto scettico su cosa abbia spinto tanti debitori a presentare la domanda per l’adesione alla rottamazione. Forse c’è chi ha pensato di guadagnare tempo e di rallentare la riscossione forzata da parte dell’ente della riscossione. Qualcuno ha pensato di “mettere le cose a posto”, come quando dopo le feste di Natale, si dice di mettersi a dieta ed iscriversi in palestra per rimettersi in forma. Poi, la realtà è un’altra cosa…e questo lo sappiamo bene. Quando i debitori vedranno i numeri nero su bianco delle cifre da pagare a scadenze prestabilite e anche un po’ troppo ravvicinate, vedremo cosa succederà.
Al momento concentriamoci sulla scadenza del 31 marzo per la presentazione dell’istanza, che è appena stata prorogata al 21 aprile, per consentire ad un numero ancora più elevato di persone di usufruire del “fuori tutto”. Gli uffici dell’ente della riscossione sono mobilitati e lavorano a testa bassa per assecondare i contribuenti ed agevolarli negli adempimenti burocratici.
Ma la domanda che deve sorgere spontanea è: visto che per l’adesione alla rottamazione è sufficiente compilare il modello DA1, scaricabile anche da qui, e che per ogni informazione c’è il personale esperto di Equitalia, a cosa serve un consulente?
Mentre le persone più furbe ci arrivano da sole e ridono sotto i baffi, vi spiego cos’è un consulente indipendente. E’ un professionista che ingaggiate voi e tutelerà esclusivamente il vostro interesse. E il requisito dell’indipendenza garantisce che non cercherà di forzarvi verso qualche soluzione che avvantaggi qualche altro soggetto rispetto a voi. Un dipendente di Equitalia farà gli interessi di Equitalia, che è un ente che si occupa di riscuotere somme iscritte a ruolo, e quindi cercherà di riscuotere il più possibile. E non può essere altrimenti. E’ come ascoltare un dipendente della banca che vi consiglia su come investire i vostri risparmi, magari forzandovi a sottoscrivere qualche gestione patrimoniale gestita proprio da società dello stesso gruppo bancario. E’ storia vecchia, ma quanti ancora ci cascano.
Ma parliamo di cose nuove. Vi racconto una storiella. Un cliente si rivolge al mio studio ed esibisce un estratto di ruolo consistente, per un totale di alcune migliaia di euro, dicendo che un dipendente di Equitalia gli aveva consigliato di rottamare tutto e di risparmiare così un sacco di soldi.
Lo stesso quesito posto al mio studio ha avuto però una risposta completamente diversa. Non c’è nulla da pagare!!! Ciò in quanto tutti i ruoli compresi nell’estratto, si erano prescritti nel corso degli anni e quindi l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia non hanno più titolo per chiedere alcunchè.
Gli episodi sono numerosi, come coloro che hanno chiesto piani di rateazione comprendenti accertamenti ormai prescritti, che un professionista serio non avrebbe mai consigliato di richiedere nè tantomeno di pagare.
Certo, ognuno è liberissimo di pagare ciò che lo stato non può più richiedere per legge, grazie all’istituto della prescrizione che limita nel tempo l’azione accertatrice e di riscossione, per sottrarre i cittadini ad un potere perpetuo da parte degli organi preposti, ma l’importante è esserne informati. E state pur certi che nessuno vi informerà, se non un professionista da voi scelto e incaricato di assistervi. Per questo, state alla larga da persone non competenti, ma anche da quelle non indipendenti, i danni li potreste pagare voi!
- Dott. Lorenzo Esposito
- 3 feb 2017
- Tempo di lettura: 2 min
La definizione dei ruoli in carico a Equitalia consentita dal decreto legge n. 193/2016, come già ricordato, ha un impatto importante sui ricorsi fiscali in essere, o meglio sulle cosiddette liti pendenti.
Al comma 2 dell’art. 6 del decreto citato, è previsto che, nella domanda presentata, il debitore (di Equitalia) si impegni a rinunciare ai giudizi pendenti. Al di là delle valutazioni specifiche sulla convenienza della rottamazione, è opportuno analizzare gli aspetti generali, anche in considerazione del fatto che la legge sulla rottamazione ha lasciato numerose lacune e dubbi irrisolti sui quali si auspica un intervento legislativo, piuttosto delle solite circolari dell’Agenzia delle Entrate che tendono a sostituirsi alle fonti primarie del diritto tributario.
La rinuncia ai giudizi pendenti è prevista dall’art 44 del Dlgs n. 546/92 (che disciplina il contenzioso tributario) e prevede il deposito in Commissione Tributaria, di un atto di rinuncia al ricorso (o appello), da parte del ricorrente (o appellante), e comporta l’obbligo di rimborsare le spese del giudizio che verranno liquidate dal Presidente della sezione con decreto o dalla Commissione stessa con sentenza, salvo diverso accordo fra le parti. La rinuncia al ricorso deve essere accettata da tutte le parti costituite in giudizio e comporta l’estinzione del processo.
Altra cosa è la cessazione della materia del contendere, prevista all’art. 46 del Dlgs 546/92, che viene dichiarata con decreto del presidente della sezione o con sentenza della commissione, che estingue in tutto o in parte il processo. Essa interviene noi casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge (come ad esempio condoni e definizione delle liti pendenti) ed in ogni altro caso di sopravvenuta perdita di interesse alla controversia, unanimemente accettata da tutte le parti nel processo. Con la cessazione della materia del contendere le spese processuali restano a carico di chi le ha sostenute.
Ne caso in esame, la rottamazione di ruoli impugnati in Commissione Tributaria (o Tribunale per i contributi previdenziali o altre somme che non siano tributi erariali), il decreto legge 193/2016 non chiarisce se si rientri nella prima ipotesi o nella seconda e di conseguenza nulla viene disposto in merito a chi pagherà le spese del giudizio in corso. Per evitare brutte sorprese è consigliabile accordarsi con la controparte, Agenzia delle Entrate, Equitalia, INPS ecc. per la compensazione delle spese. Tale dilemma è stato risolto dall’Agenzia dell’Entrate in recenti chiarimenti forniti, in cui ha affermato che l’impegno a rinunciare al ricorso non corrisponde esattamente alla rinuncia allo stesso ex art. 44 Dlgs 546/92. Piuttosto, la definizione perfezionatasi con l’integrale pagamento di quanto dovuto, farebbe cessare la materia del contendere, prevista dall’art. 46 sopra richiamato. In futuro si vedrà se i giudici tributari si regoleranno in questi termini, stante la carenza legislativa in merito.Le novità non finiscono qui. Continua a seguire questo blog per i successivi aggiornamenti.