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  • Dott. Lorenzo Esposito
  • 10 dic 2018
  • Tempo di lettura: 1 min

Oltra alla rottamazione-ter, l’altra sanatoria che consente di fare Pace con il fisco, è la cosiddetta chiusura delle liti pendenti.

Questa misura riguarda solo i contribuenti, persone fisiche e imprese, che hanno un contenzioso in essere con l’Agenzia delle Entrate, vale a dire, che hanno ricevuto un atto impositivo e lo hanno impugnato innanzi alle commissioni tributarie.

La controversia sanabile può trovarsi sia dopo la sentenza di primo grado emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale, oppure di secondo grado emessa dalla Commissione Tributaria Regionale, o, infine in attesa del giudizio per Cassazione.

E’ infine stato previsto un piccolo sconto anche per coloro che rinunciano al ricorso instaurato in primo grado, decidendo di definire la controversia.

Dalle ultime modifiche si evince che, se il contribuente ha vinto in primo grado, potrà chiudere la lite pendente pagando il 40% del valore della controversia, cioè le sole imposte senza le sanzioni né gli interessi.

Se il contribuente ha vinto in secondo grado il versamento dovuto sarà pari al 15% del valore delle sole imposte dovute nella controversia.

Se il contribuente ha vinto in primo e in secondo grado ed è in attesa del giudizio della Corte di Cassazione, potrà chiudere la lite versando il 5% del relativo valore.

Qualora il contribuente abbia presentato il ricorso in primo grado e sia in attesa della trattazione, potrà chiudere la lite con il versamento del 90 % del valore delle imposte.

L’istanza per aderire va presentata entro il 16 maggio 2019.

Il pagamento delle somme avverrà entro il 16 maggio in unica soluzione oppure in un massimo di 20 rate trimestrali a partire dalla stessa data, entro cinque anni.

  • Dott. Lorenzo Esposito
  • 3 feb 2017
  • Tempo di lettura: 2 min

La definizione dei ruoli in carico a Equitalia consentita dal decreto legge n. 193/2016, come già ricordato, ha un impatto importante sui ricorsi fiscali in essere, o meglio sulle cosiddette liti pendenti.

Al comma 2 dell’art. 6 del decreto citato, è previsto che, nella domanda presentata, il debitore (di Equitalia) si impegni a rinunciare ai giudizi pendenti. Al di là delle valutazioni specifiche sulla convenienza della rottamazione, è opportuno analizzare gli aspetti generali, anche in considerazione del fatto che la legge sulla rottamazione ha lasciato numerose lacune e dubbi irrisolti sui quali si auspica un intervento legislativo, piuttosto delle solite circolari dell’Agenzia delle Entrate che tendono a sostituirsi alle fonti primarie del diritto tributario.

La rinuncia ai giudizi pendenti è prevista dall’art 44 del Dlgs n. 546/92 (che disciplina il contenzioso tributario) e prevede il deposito in Commissione Tributaria, di un atto di rinuncia al ricorso (o appello), da parte del ricorrente (o appellante), e comporta l’obbligo di rimborsare le spese del giudizio che verranno liquidate dal Presidente della sezione con decreto o dalla Commissione stessa con sentenza, salvo diverso accordo fra le parti. La rinuncia al ricorso deve essere accettata da tutte le parti costituite in giudizio e comporta l’estinzione del processo.

Altra cosa è la cessazione della materia del contendere, prevista all’art. 46 del Dlgs 546/92, che viene dichiarata con decreto del presidente della sezione o con sentenza della commissione, che estingue in tutto o in parte il processo. Essa interviene noi casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge (come ad esempio condoni e definizione delle liti pendenti) ed in ogni altro caso di sopravvenuta perdita di interesse alla controversia, unanimemente accettata da tutte le parti nel processo. Con la cessazione della materia del contendere le spese processuali restano a carico di chi le ha sostenute.

Ne caso in esame, la rottamazione di ruoli impugnati in Commissione Tributaria (o Tribunale per i contributi previdenziali o altre somme che non siano tributi erariali), il decreto legge 193/2016 non chiarisce se si rientri nella prima ipotesi o nella seconda e di conseguenza nulla viene disposto in merito a chi pagherà le spese del giudizio in corso. Per evitare brutte sorprese è consigliabile accordarsi con la controparte, Agenzia delle Entrate, Equitalia, INPS ecc. per la compensazione delle spese. Tale dilemma è stato risolto dall’Agenzia dell’Entrate in recenti chiarimenti forniti, in cui ha affermato che l’impegno a rinunciare al ricorso non corrisponde esattamente alla rinuncia allo stesso ex art. 44 Dlgs 546/92. Piuttosto, la definizione perfezionatasi con l’integrale pagamento di quanto dovuto, farebbe cessare la materia del contendere, prevista dall’art. 46 sopra richiamato. In futuro si vedrà se i giudici tributari si regoleranno in questi termini, stante la carenza legislativa in merito.Le novità non finiscono qui. Continua a seguire questo blog per i successivi aggiornamenti.

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