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  • Dott. Lorenzo Esposito
  • 10 feb 2017
  • Tempo di lettura: 3 min

I dubbi fin qui sollevati non riguardano solo il pagamento delle spese processuali, che può anche essere rilevante, ma anche cosa effettivamente si sana con l’adesione o meno alla cosiddetta rottamazione.

Preliminarmente occorre chiarire se un accertamento esecutivo notificato a fine 2016 possa essere oggetto della definizione, in quanto il ruolo emesso dall’Agenzia delle Entrate non è ancora stato affidato al concessionario della riscossione alla data del 31.12.2016. Ciò in quanto gli accertamenti concedono al contribuente un termine di 60 giorni per pagare o per ricorrere. L’Agenzia attenderà 90 giorni per trasmettere il ruolo a Equitalia, quindi in quel lasso di tempo non dovrebbe essere possibile aderire alla sanatoria. C'è comunque un'orientamento contrario, secondo il quale anche l'accertamento esecutivo emesso dall'Agenzia delle Entrate e l'avviso di addebito relativo a contributi INPS, rientrino nella rottamazione dei ruoli.

In primo grado, con un ricorso presentato ma ancora pendente in Commissione Tributaria Provinciale, si può richiedere e ottenere la sospensione del pagamento, per cui neppure in tal caso la riscossione passa in capo a Equitalia.

Se invece il ricorso presentato non ottiene la sospensione del pagamento, in attesa della discussione, viene prevista la riscossione frazionata (nei ricorsi contro avviso di accertamento, ma non avverso le cartelle, le quali vanno pagate interamente in caso di ricorso) per cui viene affidato ad Equitalia l’incasso di 1/3 della maggiore imposta accertata. In tal caso, è evidente che, potendo aderire alla rottamazione solo per queste somme, non ci sarà nessun interesse a farlo. Ciò in quanto la “rottamazione” concede lo sconto solo sulle sanzioni e interessi e non sulle imposte. Oltre a questo, l’adesione comporterebbe la rinuncia al contenzioso, rendendo dovuti oltre ai restanti 2/3 dell’imposta (dopo aver già pagato il terzo, non oggetto di sospensione), anche le sanzioni e gli interessi in misura piena, senza nessuno sconto, su tutta la somma accertata. Quindi questa strada pare improponibile.

In caso di lite pendente in Commissione Tributaria Regionale, si hanno due casi a seconda che il contribuente abbia vinto in 1° grado oppure no.

Nel primo caso, sempre che il contribuente non abbia pagato le somme iscritte a ruolo (perché ha ottenuto la sospensione), l’ente impositore provvederà a sgravarle interamente: quindi non ci dovrebbero essere somme iscritte a ruolo da sanare e pertanto non ci sarebbe il presupposto oggettivo della definizione.

Se il contribuente ha perso in 1° grado, l’ufficio iscriverà a ruolo i 2/3 della maggiore imposta accertata, oltre a sanzioni ed interessi, quindi in tal caso sarà possibile rottamare la cartella, e in tal ci sarà chiaramente la convenienza a farlo. Pertanto, risulterà conveniente la rottamazione solo se non è ancora intervenuto il pagamento di quanto dovuto in base alla sentenza di 1° grado che ha dato ragione all’ente impositore. Anche in tal caso, però resta una incognita legata alla misura delle sanzioni rottamabili, vale a dire se sono sul 100% della maggiore imposta o sui 2/3, in quanto il terzo dell’imposta è già stato pagato e quindi le sanzioni relative dovrebbero seguire la stessa sorte del tributo. Ma in tal senso non ci sono conferme ufficiali.

Tralasciamo le considerazioni sulle sentenze parzialmente favorevoli al contribuente, in quanto le ipotesi che si vanno a formulare sono ancora più complesse e non supportate da istruzioni concrete.

Sulla base delle considerazioni svolte appare che la convenienza alla rottamazione in caso di liti pendenti si ridimensioni notevolmente in quanto i casi specifici di applicabilità si restringono in misura rilevante.

Per comprendere le modalità operative in modo più completo si auspicano non solo dei chiarimenti legislativi, ma da più parte si sono sollevate le richieste di prevedere una vera e propria sanatoria delle liti pendenti come in passato è già avvenuto. Questo non tanto per fare un condono aggiuntivo, ma per rendere omogenee le norme e le facilitazioni a favore dei contribuenti che hanno presentato un ricorso a quei soggetti che invece non l’hanno fatto, restando debitori dell’imposta senza aver tentato la via del contenzioso.

  • Dott. Lorenzo Esposito
  • 3 feb 2017
  • Tempo di lettura: 2 min

La definizione dei ruoli in carico a Equitalia consentita dal decreto legge n. 193/2016, come già ricordato, ha un impatto importante sui ricorsi fiscali in essere, o meglio sulle cosiddette liti pendenti.

Al comma 2 dell’art. 6 del decreto citato, è previsto che, nella domanda presentata, il debitore (di Equitalia) si impegni a rinunciare ai giudizi pendenti. Al di là delle valutazioni specifiche sulla convenienza della rottamazione, è opportuno analizzare gli aspetti generali, anche in considerazione del fatto che la legge sulla rottamazione ha lasciato numerose lacune e dubbi irrisolti sui quali si auspica un intervento legislativo, piuttosto delle solite circolari dell’Agenzia delle Entrate che tendono a sostituirsi alle fonti primarie del diritto tributario.

La rinuncia ai giudizi pendenti è prevista dall’art 44 del Dlgs n. 546/92 (che disciplina il contenzioso tributario) e prevede il deposito in Commissione Tributaria, di un atto di rinuncia al ricorso (o appello), da parte del ricorrente (o appellante), e comporta l’obbligo di rimborsare le spese del giudizio che verranno liquidate dal Presidente della sezione con decreto o dalla Commissione stessa con sentenza, salvo diverso accordo fra le parti. La rinuncia al ricorso deve essere accettata da tutte le parti costituite in giudizio e comporta l’estinzione del processo.

Altra cosa è la cessazione della materia del contendere, prevista all’art. 46 del Dlgs 546/92, che viene dichiarata con decreto del presidente della sezione o con sentenza della commissione, che estingue in tutto o in parte il processo. Essa interviene noi casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge (come ad esempio condoni e definizione delle liti pendenti) ed in ogni altro caso di sopravvenuta perdita di interesse alla controversia, unanimemente accettata da tutte le parti nel processo. Con la cessazione della materia del contendere le spese processuali restano a carico di chi le ha sostenute.

Ne caso in esame, la rottamazione di ruoli impugnati in Commissione Tributaria (o Tribunale per i contributi previdenziali o altre somme che non siano tributi erariali), il decreto legge 193/2016 non chiarisce se si rientri nella prima ipotesi o nella seconda e di conseguenza nulla viene disposto in merito a chi pagherà le spese del giudizio in corso. Per evitare brutte sorprese è consigliabile accordarsi con la controparte, Agenzia delle Entrate, Equitalia, INPS ecc. per la compensazione delle spese. Tale dilemma è stato risolto dall’Agenzia dell’Entrate in recenti chiarimenti forniti, in cui ha affermato che l’impegno a rinunciare al ricorso non corrisponde esattamente alla rinuncia allo stesso ex art. 44 Dlgs 546/92. Piuttosto, la definizione perfezionatasi con l’integrale pagamento di quanto dovuto, farebbe cessare la materia del contendere, prevista dall’art. 46 sopra richiamato. In futuro si vedrà se i giudici tributari si regoleranno in questi termini, stante la carenza legislativa in merito.Le novità non finiscono qui. Continua a seguire questo blog per i successivi aggiornamenti.

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