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  • Dott. Lorenzo Esposito
  • 9 nov 2015
  • Tempo di lettura: 2 min

Ricordo che la Sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale ha fatto decadere quei funzionari dell’Agenzia delle Entrate che non appartenevano alla carriera direttiva e quindi non potevano firmare gli avvisi di accertamento. E alla carriera direttiva si accede in Italia, solo con il superamento di un apposito concorso pubblico. In particolare, la sent. della Corte di Cassazione n. 14626 del 10.11.2000, precisò che l’avviso di accertamento è nullo se non è sottoscritto dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. In caso di sottoscrizione apposta da parte di funzionario delegato dal capo dell’ufficio, è onere dell’Amministrazione dimostrare, l’esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio. In questi mesi dottrina e giurisprudenza si sono ripetutamente confrontate per ribadire le proprie ragioni. In particolare, molto interesse è stato manifestato sulla eccepibilità del vizio dell’atto impugnato, e cioè se ciò fosse possibile in corso di causa, o d’ufficio da parte del giudice, oppure se la questione andasse sollevata come motivo del ricorso introduttivo. Cosa peraltro molto più difficoltosa in quanto per il contribuente era piuttosto difficile sapere se il firmatario dell’atto era legittimato a farlo oppure no. Successivamente sono divenuti di dominio pubblico gli elenchi dei dirigenti decaduti, attraverso la pubblicazione dei nomi e cognomi ed ufficio di appartenenza a far data dal 27 luglio scorso.

Ebbene, se gli atti successivi ad una certa data (estate 2015) sono stati correttamente firmati solo da chi ne ha effettivamente il potere, resta tutt’ora un rebus la questione degli atti precedenti.

Come già anticipato nel post del 27 marzo, alla fine le questioni di cassa, e cioè gli enormi interessi economici (si parla di 1,5 miliardi di euro) dietro all’ingente mole di accertamenti “viziati” e quindi nulli, hanno calpestato il diritto dei contribuenti. Lo scorso 18 settembre, la Suprema Corte, con sentenza n. 18448 ha affermato che nell’ambito del diritto tributario, non può trovare diretta applicazione il regime della nullità assoluta, rilevabile d’ufficio in ogni stato a grado del giudizio, previsto dall’art. 21-septies L. 241/90. Quindi, o si è eccepito il vizio di attribuzione nel ricorso introduttivo, oppure non è più sollevabile né dal ricorrente, né rilevabile dal giudice d’ufficio. Questa sentenza tarpa le ali alle difese dei contribuenti, e riduce i rischi per l’Erario. La morale è che le regole vanno rispettate rigorosamente dai cittadini (sudditi), ma non così tanto dall’amministrazione (stato), che se sbaglia, e sbaglia spesso, lo fa comunque a fin di bene, e cioè per garantire il mantenimento della macchina stato.


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Una prassi ormai consolidata da anni nel nostro paese, che prevede l’assegnazione di incarichi dirigenziali a soggetti che non hanno superato i prescritti concorsi pubblici, rischia di avere delle conseguenze devastanti per le casse dello stato.

Infatti, l’ultima sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015, ha dichiarato incostituzionali tre diverse proroghe al conferimento degli incarichi dirigenziali a funzionari delle Agenzie delle Entrate, dell’ex Territorio e delle Dogane. Le proroghe, concesse sotto gli ultimi governi, Monti, Letta e Renzi, sono servite a “tamponare” delle esigenze urgenti di dirigenti, nominati senza attendere il normale iter necessario, che prevede il sostenimento e il superamento di appositi concorsi pubblici.

Le conseguenze di un atto impositivo firmato da un soggetto non legittimato a farlo, comporta la illegittimità e la nullità dello stesso per difetto di sottoscrizione. Pertanto tali atti, impugnati presso le competenti Commissioni Tributarie, potrebbero facilmente essere dichiarati nulli, comportando una serie di conseguenze gravissime per l’erario che non incasserebbe più le somme accertate.

Il condizionale è d’obbligo in quanto il governo è già corso ai ripari per cercare di ovviare alla sentenza della Corte Costituzionale e riuscire così a difendere, se non il diritto, almeno le esigenze di cassa dello Stato.

Gli scenari che si aprono al contribuente destinatario di atti con difetto di sottoscrizione sono molteplici per cui è consigliabile un vaglio attento e competente per evitare di perdere delle “chances” nella difesa dei propri diritti.

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