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In materia di onere della prova, vige il principio, disciplinato dall’art. 2697 c.c., secondo il quale chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda. Nell’ambito tributario, non è l’attore in senso formale che deve provare l’illegittimità del credito vantato dalla pubblica amministrazione ma - poiché è quest’ultima che dal punto di vista sostanziale si afferma creditrice – è l’autorità amministrativa che è tenuta all’onere della prova dei fatti costitutivi della sua pretesa, mentre grava sul destinatario (contribuente) l’onere di eccepire l’inefficacia di quei fatti ovvero assuma che il diritto sia modificato o estinto, ovvero l’onere di provare i fatti sui quali l’eccezione si fonda. Tale orientamento, affermato per la prima volta dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2990/1979, ha trovato conferma nella dottrina e nella giurisprudenza di legittimità che si è succeduta nel corso degli anni (Cass. n. 2092/1996; Cass. n. 11420/1998; Cass. 955/2016). E’ stato, infatti, ormai definitivamente chiarito che la c.d. presunzione di legittimità degli atti amministrativi, un tempo evocata per giustificare la idoneità degli stessi ad incidere unilateralmente nella sfera giuridica altrui, non opera nei confronti del giudice ordinario (ex multis Cass. n. 1946/12; n. 13665/2001). Il principio supra indicato non subisce deroghe laddove si controverta in tema di indebita deduzione di costi e di detrazione dell’IVA, relativi ad operazioni ritenute dall’Agenzia delle Entrate, oggettivamente inesistenti. Nel caso, infatti, in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, ovvero che la stessa sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di individuare e di indicare nell’avviso di accertamento, gli elementi probatori atti a confermare la mancata effettuazione dell’operazione oggetto di fatturazione. Graverà, a quel punto, sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (Cass. n. 9363/2015). Va, a tal proposito, osservato che la fattura, salva l’ipotesi di contabilità inattendibile, è documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa, come si evince dall’art. 21 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, purché sia redatta in conformità ai requisiti di forma e di contenuto ivi prescritti. Ne consegue che una regolare fattura, lasciando presumere la verità di quanto in essa rappresentato, costituisce titolo, per il contribuente, per usufruire del diritto alla detrazione dell’IVA o alla deduzione del costo ivi indicato. Qualora, pertanto, l’Amministrazione contesti che la fattura riguardi operazioni oggettivamente inesistenti, la stessa dovrà dimostrare il difetto delle condizioni per la detrazione o la deduzione. Nel caso in cui ciò avvenga, sarà cura del contribuente fornire la prova dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Tale prova, tuttavia, non potrà consistere nella esibizione della fattura, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 15228/2001; Cass. 12802/2011). Appare, poi, evidente che, in caso di accertata assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o del committente (il quale sa bene se una determinata fornitura di beni o prestazioni di servizi l’ha effettivamente ricevuta o no) (Cass. n. 24426/2013; Cass. 25778/2014; Cass. 25775/2014). Nel caso in cui l’elemento individuato dall’Ufficio per contestare la fittizietà dell’operazione sia costituita dalla dichiarazione del terzo, eventualmente raccolta dall’amministrazione nella fase procedimentale, la stessa costituisce un elemento indiziario, la quale se ben può concorrere a formare il convincimento del giudice, non è idonea a costituire, da sola, il fondamento della decisione, secondo quanto statuito dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 18 del 21.01.2000. Tale orientamento è stato confermato dalla sentenza n. 11048 del 14.05.2007, secondo la quale: “costituisce principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte - dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi - quello secondo cui, in tema di contenzioso tributario, le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di prove testimoniali, bensì di mere informazioni acquisite nell'ambito di indagini amministrative, ed hanno, pertanto, il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutate dal giudice, con la conseguenza che non possono costituire da sole il fondamento della decisione, potendo essere utilizzate quando trovino ulteriore riscontro nel contesto probatorio emergente dagli atti (conf. Cass. n. 3526 del 2002; n. 5957 del 2003, n. 16032 del 2005, n. 9129 e n. 24200 del 2006). Esiste, tuttavia, un diverso orientamento, seppur minoritario, secondo il quale, anche un solo indizio può costituire la base di una presunzione, che a sua volta può essere sufficiente a fondare il convincimento del giudice, qualora non sia smentito da puntuali e credibili contestazioni da parte del ricorrente (Cass. 11.01.2008, n. 450). E uno ulteriore, a norma del quale le dichiarazioni del terzo, nel concorso di particolari circostanze, possono rivestire i caratteri delle presunzioni gravi, precisi e concordanti, ai sensi dell’art. 2729 c.c., dando luogo, di conseguenza, non ad un mero indizio, bensì ad una prova presuntiva, idonea da sola a essere posta a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica, da parte dell’amministrazione finanziaria. Il che accade quando le dichiarazioni rese a verbale dal terzo si segnalino come dotate di una particolare attendibilità e affidabilità, poiché aventi natura confessoria, per le conseguenze negative che possano derivarne a carico del terzo medesimo (Cass. 9876/2011). A parere di chi scrive, è necessario al fine del raggiungimento della prova, che venga reperito, nell’ambito dell’istruttoria, un quadro indiziario chiaro e puntuale, che dia ragionevole certezza della fittizietà dell’operazione, e che si sostanzi nel riscontro fattuale delle dichiarazioni rese dal terzo. In assenza di ciò le sole dichiarazioni del medesimo non appaiono, in alcun modo, in grado di assurgere a elementi gravi, precisi e concordanti. Tale assunto ha trovato conferma in una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, n. 503/03/15 del 9.12.2015, secondo la quale le dichiarazioni dell’emittente la fattura, rilasciate nel corso di una verifica a suo carico, non sono sufficienti a dimostrare la fittizietà delle operazioni dichiarate dall’utilizzatore. Le dichiarazioni di terzi, infatti, se rimangono l’unico elemento di prova, non possono, da sole, adempiere all’onere probatorio che incombe all’Agenzia, anche considerando che hanno valore meramente indiziario e che devono essere confortate da altri elementi di prova. Qualora le dichiarazioni provengano da soggetti che operano all’interno della società destinataria dell’accertamento, le stesse, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, si ergono a rango di prova e non di mero indizio. E’ stato, infatti, ritenuto che le dichiarazioni rese da un soggetto (direttore tecnico) che abbia operato per conto dell’impresa possono, anche da sole, fondare l’accertamento di un maggiore imponibile, trattandosi di elemento probatorio che si avvicina alla confessione e non al mero indizio, fatto salvo l’obbligo del giudice di merito di vagliarne l’attendibilità (Cass. 13.10.2008, n. 25104). Ed ancora, le attestazioni di un soggetto che opera per l’impresa cui si attribuisce l’emissione di fatture fittizie hanno contenuto confessorio, per cui possono, di per sé, fondare l’accertamento (Cass. 25.05.2007, n. 12271). Alla medesima conclusione la Corte di Cassazione è addivenuta con riferimento alle dichiarazioni provenienti da dipendenti di una società che intratteneva rapporti commerciali con quella accertata (Cass. 9.07.2010 n. 16229), e da fornitori del contribuente (Cass. 5.05.2011, n. 9876). Il potere di introdurre dichiarazioni rese dai terzi in sede extraprocessuale, con il valore proprio degli elementi indiziari è conferito non solo all’Amministrazione Finanziaria ma anche al contribuente, con il medesimo valore probatorio, dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo di cui all'art. 111 Cost., al fine di garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l'effettività del diritto di difesa (Cass. 17.06.2015, n. 12559; 25.03.2002 n. 4269). Avv. Federica Malvezzi

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